La ragazza, poco più che una bambina, se ne sta in piedi lassù, sulla piattaforma da dieci metri e guarda in basso. Guarda l’acqua azzurra della piscina, che là in fondo è così trasparente e lontana che quasi scompare, e tutte quelle faccine volte verso di lei come in cerca di una risposta dal cielo. Intanto si stringe le braccia con le braccia e sente, sotto i polpastrelli e i palmi delle mani, la pelle d’oca. Le ginocchia involontariamente si sfiorano tra loro. Sta tremando. Un po’ per il freddo, ha il costume fradicio appiccicato addosso, molto per la paura.
Questo lo sa: la paura procede a ondate, a raffiche, e c’è un momento in cui, proprio come davanti a un’onda molto grossa o a una poderosa raffica di vento, si può solo cercare di resistere aggrappandosi da qualche parte.
Un tempo, bastava quel momento per farla sentire un sacchetto di plastica trascinato via e fatto a brandelli dalla violenza della tramontana. Si vedeva inadeguata a organizzare una qualunque risposta che non fosse subire. L’equazione era temere uguale fallire. Per questo passava un sacco di tempo a cercare di nascondersi, di non temere. Ricerca vana come cercare di vivere senza respirare.
Ma è passato del tempo e lei lo ha riempito di sogni, pensieri, allenamenti, tentativi e ora, anche se continua a tremare, non è più come allora. Sembra che quel sacchetto di plastica abbia imparato a lasciare che il vento si sfoghi e poi a orientarsi, all’interno delle folate, come una vela sul mare. A scegliere la propria direzione e grazie alla spinta dell’aria a procedere meglio, spedita. Lasciando sgonfiare la metafora come una torta di cioccolata che esce dal forno, quella ragazzina ha imparato a usare la paura per migliorare.
Ora distende le braccia lungo i fianchi e un po’ le scuote. Cammina verso il limite della piattaforma e ad esso stringe, arricciandole, le dita dei piedi. Poi mette a fuoco quel che le serve di più: la spinta delle gambe per salire ancora più in alto. Spingendo forte potrà arrampicarsi nell’aria e trovare lo spazio per avvolgersi su di sé, disegnare la sua danza aerea e muscolare e poi volare giù, distendersi e congiungersi all’acqua: prima con le mani, poi con la testa, poi con il resto del corpo. Lei spinge forte. È in aria. Vede il cielo, l’acqua azzurra della piscina, di nuovo il cielo, di nuovo l’acqua azzurra. Il vento le soffia tutto intorno – come l’urlo di un pazzo, come vita che passa – e poi l’abbraccia.
www.stafanomassari.com