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L’uso dei mezzi di comunicazione come strumento di manipolazione di massa fa tristemente il suo ingresso nell’età dei Totalitarismi. Il suo più illustre esponente, il noto dottor Goebbels, ministro della propaganda nazista, aveva identificato circa undici strategie di condizionamento e persuasione politica da attuarsi per alimentare l’adesione dei cittadini tedeschi alla dottrina del nazionalsocialismo. La più nota, detta anche Principio della ripetizione, è sinteticamente espressa dalla nota massima “Un menzogna ripetuta mille volte diventa una verità”.  Un’altra tecnica, dagli esiti luttuosi, viene anche denominata Principio del contagio e consiste nel caricare su una persona o categorie di persone l’insieme delle colpe e delle responsabilità di un processo. In questo modo gli Ebrei vennero additati di essere i responsabili della grande tragedia nazionale, la sconfitta nella Prima guerra mondiale. L’uso attivo e consapevole  di queste tecniche serviva per colpire e discreditare gli avversari, ma anche per forgiare il mito di Hitler, l’ uomo della Provvidenza, l’invincibile amico del popolo che avrebbe risollevato la Germania e la avrebbe condotta a destini di grandezza. 

Tale uso distorto e manipolatorio della propaganda veniva anche favorito dalla sempre più accelerata diffusione di strumenti di comunicazione quali radio e cinematografo, in grado di ampliare e potenziare su scala nazionale i discorsi di un leader come mai era accaduto precedentemente.

Rimane indiscutibile che anche in tempi di democrazia e libertà le strategie ideate dal genio del male Goebbels sono divenute opportunità per pubblicitari, politici, divulgatori e miriadi di altre categorie, per agire condizionamenti strumentali sulle masse. Negli ultimi anni abbiamo tuttavia avuto modo di assistere ad un fenomeno nuovo: i social media più comunemente conosciuti come Facebook, Istagram, Twitter hanno messo nelle mani di individui e gruppi di persone comuni l’opportunità di operare una comunicazione “globale”, mettendo in atto, più o meno consapevolmente, messaggi che rispondono alla logica di manipolazione che fino ad allora avevano sempre soltanto subito.

Ma com’è possibile, è lecito chiedersi, che queste tecniche così semplici e grossolane, abbiano un potere tale da condizionare opinioni e comportamenti?

La risposta trova la sua ragione d’essere nella natura stessa della mente umana e delle sue funzioni. Com’è noto a tutti gli studiosi di materia, il nostro cervello, nell’affrontare processi cognitivi, tende alla semplificazione e al “dispendio di energia”, scegliendo di prendere delle scorciatoie che ne velocizzino l’attività. La ragione principale è che la mente deve affrontare ogni giorno diverse “sfide” che comportano uno sforzo di elaborazione notevole. Risulta molto più facile scegliere di accorciare il processo di pensiero, anche se questo finisce per comportare una visione del mondo ridotta e impoverita. Queste strategie di semplificazione vengono dette biases o euristiche. Per intenderci, avete presente la famosa espressione che magari da ragazzi le mamme vi rivolgevano prima delle uscite pubbliche: “Attenzione a fare subito bella figura, perché è la prima impressione che conta”?. In termini psicologici viene detta euristica dell’ancoraggio e si manifesta come la tendenza della mente a prendere in considerazione, nello sviluppo di un’opinione, solo le prime informazioni a disposizione. Poco importa se sono veramente sufficienti per definire in modo autentico e completo un individuo.

Un’altra euristica o bias molto comune è detta del bandwagon e consiste nel ritenere veritiera un’affermazione in base al numero di persone che la condividono. Questa strategia di semplificazione è stata messa in luce dallo psicologo Asch come la responsabile dei comportamenti di adattamento conformistico in cui tutti rischiamo di cadere.

Risulta facile comprendere come  manipolazione e biases cognitivi si incastrino alla perfezione come pedine di un puzzle che rischia di farci perdere nella comprensione razionale e nitida della realtà.

Ma che ruolo hanno avuto biases, tecniche di manipolazione e nuovi media nel drammatico periodo del coronavirus?

Facciamo alcuni esempi. Nelle ultime settimana appariva su FB un post in cui  venivano presentate due opzioni scelta: A Stai a casa quindici giorni, sopravvivi B Esci: muori. Quest’ultima variabile veniva “potenziata” dall’immagine di una serie di bare e croci. 

Una delle tecniche della propaganda manipolatoria consiste nel principio della trasfusione, ovvero del fare leva su stati emotivi primordiali e radicati, quali rabbia e paura,  per condizionare i comportamenti delle masse. E quale paura più recondita e impattante del timore della morte? Il principio della trasfusione agisce in modo efficace attraverso il bias della negatività che consiste nell’orientamento della mente umana ad esasperare i rischi di una situazione complessa. Questa euristica è stata sviluppata già nella preistoria, quando per l’uomo uscire dalla caverna e affrontare il mondo era un potenziale fonte di rischi fatali. Agire attraverso questo canale non è quindi solo manipolatorio ma rischia di intensificare la paura del contagio, alimentando fobie ed atteggiamenti irrazionali. 

Un’ altra strategia di condizionamento è stata perpetrata dagli stessi mass media, i quali nel sollecitare le persone a diradare le uscite dalla propria abitazione e nel riprendere eventuali comportamenti illeciti e minacciosi per la salute pubblica, mostravano spesso l’immagine di runner in procinto di eseguire la propria attività atletica. Appare ovvio a tutti che in un contesto in cui interi settori professionali (e non sempre indispensabili) sono ancora funzionanti, caricare più o meno occultamente la responsabilità di diffondere il virus ai corridori, anche se solitari e rispettosi delle distanze di sicurezza, rischia di divenire un messaggio tanto grossolano quanto compensatorio. Chi manipola sa che al cospetto di un problema è più facile trovare un colpevole che una vera causa. Si tratta del cosiddetto principio del contagio: individua un responsabile e opera per convogliare su di lui il risentimento generale. In tuo aiuto avrai a disposizione l’euristica dell’illusione dello schema ovvero la predisposizione della coscienza delle persone a razionalizzare e dare un significato logico preciso a quegli stati d’animo irrazionali quali rabbia, rancore, paura che animano gruppi di persone in stati di difficoltà e incertezza; risultato:  chi corre diffonde il virus, è l’untore da denigrare e additare . Quando la spiegazione è chiara e il responsabile è visibile, anche le emozioni negative risultano più sopportabili.

L’illusione dello schema, lo avrete notato, ha inoltre contribuito ad alimentare le miriadi di teorie complottistiche che hanno popolato il web, anche grazie all’aiuto di illustri paladini quali giornalisti, opinionisti, guru e presunti esperti. “Sono stati gli americani e Trump che vogliono destabilizzare l’economia europea”, “è stata la Cina”, “ si tratta di un complotto delle élites finanziarie”, poco importa che non ci sia nessuna prova evidente di nessuna di queste ipotesi e che i virologi abbiano più volte ribadito che il coronavirus non sia altro che un’evoluzione dei precedenti già esperiti negli anni passati. Quello che conta è che ognuna di queste spiegazioni tende a dare l’illusione di un ordine, di una logica precisa, sicuramente preferibile e più psicologicamente accettabile della verità che racconta dell’incontrollata diffusione di una malattia rispetto alla quale non si possiedono cure.

Ognuna di queste scelte comunicative, di queste posizioni e scelte di campo diventa potente e incontenibile se sorretta dal principio del continuo rinnovamento: incalza nel sollecitare la visualizzazione di informazioni  a sostegno della tua tesi, continua a ritagliare la realtà in modo da avere un quadro in grado di incolpare qualcuno, di identificare un responsabile; in questo modo l’altra parte non avrà la possibilità di smentire le accuse che le rivolgi. Del resto la realtà è molto più semplice e comprensibile se in tuo soccorso disponi del bias della conferma, che ti conduce a dare risalto e attenzione solo ai dati che confermano la tua idea di partenza. 

Certo, la semplificazione e la generalizzazione hanno anche degli indiscutibili vantaggi: permettono di veicolare messaggi diretti e di forte impatto, arrivando alla coscienza in modo più efficace di affermazioni complesse e articolate. Pensiamo all’ hastag #iostoacasa, che ha contribuito a diffondere un messaggio di affiliazione  e osservanza della quarantena. Nel farlo e nel pretendere che le regole vengano rispettate dal tuo vicino di casa o dal primo individuo che ti attraversa la strada, non ti dimenticare però delle parole del Mahatma Ghandi : “ per poter giudicare il prossimo servono amorevole capacità,  chiara consapevolezza e assoluta tolleranza”.

 

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