Sto nuotando lungo le coste cretesi, tra le falesie che caratterizzano questo tratto del lato meridionale dell’isola. Nuotare per ore un po’ più al largo, lontano dalla presenza dei bagnanti, circondato solo dalla forza e dal rumore delle acque è una delle attività sportive che preferisco. Poi, gradualmente il vento si alza, il mare si ingrossa, spingendomi sempre di più contro gli scogli. Mi trovo sommerso dalla schiuma del mare che mi toglie visibilità. Bevo. Percepisco di stare perdendo il controllo. Mi immergo più giù in profondità e cerco di allontanami dalle rocce. Però ho paura, decido di rientrare. Poche bracciate e sono già in un angolo di costa più riparato.
Mentre la mia nuotata riprende il suo ritmo consueto e torno a rilassarmi tra le acque trasparenti non riesco a non ripensare quando, moltissimi anni fa, in una situazione molto più difficile non mi comportai con la stessa prudenza. Avevo dodici anni, mi trovavo in Corsica con la famiglia e decisi di entrare in mare, nonostante le bandiere rosse e i primi cavalloni che sferzavano la spiaggia. Le acque già agitate si ingrossavano sempre di più e mentre osservavo il terrore di mia madre sulla battigia, mi resi conto della mia imprudenza. Provai un timore che non degenerò però in panico, stato d’animo che mi sarebbe stato fatale. In quella spiaggia, quel giorno annegarono due persone e io riuscì a rientrare. Fui fortunato. Sono anche convinto che la paura controllata che sentii mi fu d’aiuto: acuì i miei sensi, facendomi scegliere il tempo giusto per affrontare la potente risacca e permettendomi di visualizzare con più rapidità le fonti del pericolo. Fu inoltre proprio la paura ad educare al rispetto la mia passione per il mare.
Così mi trovo a riflettere sul valore formativo di questo tipo di emozione, così svalutata dal nostro modello culturale. A livello neurologico la paura è generata dal sistema limbico, che oltre a regolare l’equilibrio dinamico del corpo, interferisce in forma potenziante o ostacolante il funzionamento del corticale, il nostro “cervello pensante”. La paura è classificabile come un’emozione ad alto livello di intensità, equiparabile al piacere, in grado di stimolare reazioni fisiche ed intellettuali fortemente attivanti rispetto all’ambiente e al contesto. Il sistema limbico inoltre permette alle esperienze caratterizzate da uno stato d’animo intenso di essere “registrate” e memorizzate a lungo termine. In questo senso il contatore emotivo presente nella mia mente ha stimolato oggi qui, nel mare di Creta, una risposta cognitiva, materializzatasi nella mia scelta di evitare un potenziale rischio.
Mentre mi siedo comodamente sulla sdraio inizio anche a ripensare all’incidenza di questa emozione nell’esistenza dell’uomo, dalle sue origini all’attualità. Il costante timore delle avversità climatiche e dell’attacco di gigantesche bestie feroci della preistoria ha sicuramente dato un contributo all’evoluzione cognitiva dell’Homo sapiens permettendogli di ideare straordinari strumenti tecnici e sviluppare elevate competenze comportamentali e relazionali. Un sano timore del mondo ha favorito l’ascesa dell’uomo verso l’attuale dominio del globo. La paura ha inoltre permesso di strutturare quelle gerarchie che hanno favorito la creazione di sistemi sociali complessi. Penso a Machiavelli che nel “Principe” suggerisce ai leader del presente e del futuro di suscitare timore nei propri sudditi, perché un sentimento più solido e duraturo anche rispetto all’amore.
Nella mia esperienza personale di docente e coach, pur essendo un fermo assertore del valore della relazione positiva e dell’autodeterminazione, sono convinto che inalcune particolari circostanze e su alcune tipologie di personel’emozione della paura possa rappresentare una spinta motivazionale favorevole. Esistono infatti atleti, studenti, professionisti che necessitano di potenti stimoli esterni per dare il meglio. Per questi soggetti, in assenza di sollecitazioni positive e cariche di riconoscimenti, il timore, la paura, l’adrenalina divengono leve motivazionali preferibili allo stallo della serenità.
Recentemente un mio studente che sta ottenendo un eccellente rendimento nel suo primo anno universitario, incanalando una sequenza di esami a pieni voti, mi ha confessato che lo stato d’animo con cui si approccia allo studio è il timore del fallimento. Dal momento che non riesce ad intravedere alcuna altra possibilità professionale per lui, figlio di stranieri e senza particolari abilità tecniche-pratiche, l’ottenimento della Laurea a pieni voti e nei tempi previsti risulta un obiettivo imprescindibile. Le sue parole mi fanno riflettere ai pericoli di una società nella quale ai giovani vengano proposte esperienze dominate dal costante “evitamento della paura”. Oggi, nel nostro sistema educativo, abbiamo eliminato le punizioni e la frustrazione dell’insuccesso. Così, non solo abbiamo privato i premi e i riconoscimenti del loro valore, ma abbiamo privato le nuove generazioni di una risorsa cognitiva fondamentale per lo sviluppo. Alla radice di esperienze depotenzianti e aut-distruttive di alcuni giovani non vi è tanto il dolore e la frustrazione ma la noia e l’apatia. Credo addirittura che la paura abbia rappresentato per alcuni la spinta più forte verso l’eccellenza e il raggiungimento di grandi successi. Penso al giovane Giulio Cesare che temeva la possibilità di una carriera modesta più che i barbari delle foreste germaniche e scoppiava in lacrime difronte alla visione della statua di Alessandro Magno. Penso ad alcuni “eroi” della modernità come Steve Jobs, dato in adozione dalla madre perché non abbastanza abbiente e cresciuto con l’incubo dell’insuccesso. Penso allo scrittore Aldo Busi, che componeva lottando con la paura della miseria, “un nodo alla gola che dovevo ricacciare sempre indietro”. Penso al calciatore Zlatan Ibrahimovic, miracolo di longevità atletica, che recentemente ha affermato “per stare bene, devo stare male”.
Penso che la nostra identità sia simile a questo cielo geco di mille tinte diverse già rivolto al tramonto e che anche l’emozione della paura sia uno dei colori che ci appartiene.
“I fear that I am ordinary like everyone, to lie here and die among the sorrows, adrift among the days” Muzzle, Smashing Pumpkins
Coach Riccardo Spadoni