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Il piacere

Il piacere è dato dall’incontro tra l’atleta e il momento della performance giusto, definiamolo perfetto. Una finta perfezione che apre al concetto di perfettibilità e di miglioramento continuo. Il piacere è dato dalla possibilità che ha l’atleta di “sentire” la realizzazione del piacere attraverso l’incontro con il “momento giusto” tra corpo, tecnica, elementi della natura e una sostanza (l’acqua per un nuotatore, la racchetta per un tennista, lo scafo di una barca a vela per un velista, ecc.). Il momento giusto è quello che fa germogliare il “sentire” dell’atleta. “Sentire” l’impatto tra braccio, racchetta e palla, vento, vele e scafo nell’acqua, braccio, mano e acqua, ecc.ecc.). Il “momento giusto” è l’incontro che accende la facoltà di “sentire” dell’atleta e  e lo investe, lo risveglia, lo sollecita, lo richiama al qui e ora. 

La parte negativa del piacere che allo stesso tempo accende la motivazione nel perseguirne la ricerca, è che la ripetizione del “momento giusto” diminuisce l’intensità del piacere stesso. Il “momento giusto” che appaga l’atleta si ripete una, due tre, infinite volte. Il solco dell’apprendimento si traccia e l’atleta è nel noto, nel conosciuto, nell’area di comfort. Ciò che l’atleta cerca nel piacere però, è l’intensità del piacere non vivere lo stesso piacere. Purtroppo con la ripetizione tutto si livella, si appiattisce, solita minestra e per di più riscaldata, apparentemente niente di nuovo. Da qui si apre una duplice strategia, la diversità o la quantità. La diversità di allenamenti, di tecniche, di contesti o la quantità di lavoro, di competizioni, di attività? Questo è l’atleta che attraverso la conoscenza di sé saprà cosa è meglio per se e per il proseguo del percorso. Il lungo e lento processo di allenamento consapevole e di competizioni ripetutamente aggiornate in termini di quantità e diversità, permetteranno dunque come fiamme improvvise l’accensione del “sentire” che genera il piacere. 

La gioia  

All’inizio di un processo di allenamento consapevole la gioia ha un basso contenuto. Sul momento l’atleta incontra lo sforzo, la fatica, l’impegno e la soddisfazione di imparare una competenza (tecnica, atletica, tattica, mentale, alimentare). Nel proseguo del processo e con l’acquisizione profonda di competenze l’atleta inizia a provare gioia intesa (eccitazione emotiva) legata ad una specifica attività. La gioia si manifesta fisicamente con gambe agili, il corpo leggero che risponde ai comandi con successo, la voce cambia e diventa possente, tutto funziona a meraviglia. La gioia non è l’ammirazione soddisfatta di un risultato ottenuto ma è un’energia che si sprigiona in scioltezza in ciò che l’atleta esegue in cui tutto si manifesta in modo apparentemente facile. La gioia è un’emozione in cui attraverso un processo di allenamento mentale ti permette di eseguire facilmente ciò che è difficile, maninfesta a pieno il potenziale della propria mente, del proprio corpo. La gioia può essere gioia del pensiero quando la mente pensa in modo creativo o gioia del corpo quando compie uno sforzo o un gesto tecnico o atletico senza difficoltà apparente. La gioia quindi cresce con la ripetizione monotona delle azioni e si arricchisce attraverso la consapevolezza del potenziale acquisito attraverso il processo di allenamento. 

C’è però un altro livello di gioia di cui un atleta nel suo percorso di crescita deve prendere consapevolezza che è la gioia intesa come pienezza, quella di esistere e si manifesta in momenti apparentemente semplici come il benessere che un atleta prova al termine di un duro allenamento nello stendere le gambe sul lettino del massaggiatore, sfamarsi e idratarsi in maniera completa e corretta, rianalizzare la giornata di lavoro davanti al tramonto della sera che attenua i colori del campo, della palestra della piscina dove poco prima aveva dato il meglio di se. Il corpo e la mente nutriti, idratati, cresciuti in pieno riposo e recupero rappresentano la gioia più profonda, più importante quella legata ad un’affermazione intima: “io ci sono e vivo”!

La felicità

La felicità è il gusto che un atleta vive nel processo di crescita personale e di allenamento. La felicità è uno spettacolo che dura un istante, un momento che l’atleta deve essere capace di cogliere durante il cammino. La felicità è come un paesaggio di una valle ricca di colori illuminati per un istante dalla luce dell’arcobaleno. La facoltà dell’atleta è quella di essere capace di cogliere quel momento in quell’atmosfera, di accettarla e di cogliere la grazia di quell’istante. Non esistono ricette o preparazioni per saper cogliere quel momento, bisogna esserci quando capita ed esserci significa aver incominciato da molto tempo a vivere quel momento di felicità come soddisfazione di essere riusciti ad aver costruito qualche cosa, felici di compiere ciò che si sa fare. La felicità non è un’occasione ripetibile o ci sei o quel momento non lo avrai mai più.

La serenità

La serenità è data da un rigoroso equilibrio interiore.  Un rigore che si manifesta nella lentezza e nella ripetitività del processo. La serenità si nutre della speranza anche quando il sogno dell’atleta si pone al di la di ogni certezza. La metafora della serenità è quella di uscire di casa e dover camminare verso il campo di allenamento, ci vuole tempo ma non ti resta che camminare e seguire la strada per raggiungere la tua meta. Ecco, questa è serenità, ci vuole tempo, fare un passo via l’altro, ogni passo scavalcherà i secondi ma non accorcerà le ore. Non c’è da decidere, scegliere, bisogna solo proseguire camminando passo dopo passo al proprio ritmo di crescita e di apprendimento. Serenità è seguire semplicemente la strada, non aspettare nulla, soltanto camminare e proseguire nel processo.

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