Quando entriamo al centro Don Bosco di La Spezia per incontrare la squadra di giovani migranti militante nel campionato di calcio di seconda categoria con cui avevamo programmato un intervento di allenamento mentale, qualcosa di speciale già è successo. Ce lo comunica il loro allenatore Giovanni, con il volto acceso di contentezza mista a sorpresa: tutti i ventidue atleti del gruppo si sono presentati all’allenamento, preparati e in anticipo sull’ orario di inizio dell’allenamento. Un evento non così scontato
considerando che la difficoltà a seguire un impegno strutturato è il punto debole che anche Luca, il mental coach della squadra ci ha segnalato. Il punto di forza invece, l’entusiasmo e la passione per lo sport, vibra prepotentemente prima attraverso gli spazi del campo a cinque dove eseguono il riscaldamento, poi nell’ampia sala dell’edificio principale dove diamo vita alla parte di allenamento mentale.
L’occasione della collaborazione con la squadra DonBosco è nata soprattutto dall’amicizia che lega lo psicologo e preparatore mentale Luca Vergassola e il team di Sport4life, strutturata nella visione dello sport come opportunità di allenare alle competenze di vita attraverso i valori di applicazione, relazione umana e di sfida con se stessi che le discipline atletiche possiedono nella loro natura intrinseca.
Per i ragazzi della squadra DonBosco che ci ascoltano e si presentano ordinatamente in un’atmosfera di una partecipazione emotiva quasi religiosa, lo sport, il calcio si rivela essere qualcosa che porta con sè un valore esistenziale altissimo. Lo capiamo quando chiediamo loro di raccontarci qual è il motivo che li lega a questa disciplina e la maggior parte dei ragazzi ci risponde che esso rappresenta una missione, un’opportunità di realizzazione professionale e di vita, un sogno che non ha smesso di nutrirsi anche nei contesti più poveri e deprivati di opportunità della Guinea-Bissau, della Somalia e delle altre nazioni africani da cui provengono. Così scopriamo la determinazione del bomber Konate, l’aspirazione professionistica di Hammed ma anche il sorriso di Youssef per il quale il calcio è soprattutto divertimento e condivisione di un momento di bellezza. Lo scambio dialettico con i giocatori è reso affascinante dalla potenza delle storie di vita dei ragazzi ma anche dal desiderio di superare l’ostacolo linguistico che ci porta a comunicare in una sequenza mista e imprevedibile di inglese, francese e italiano.
Mentre i minuti scorrono veloci e il cielo limpido si accende di rosso attorno a noi il processo di auto-osservazione dei calciatori sulle caratteristiche della squadra scorre veloce, portando alla luce quei punti di debolezza su cui andremo a lavorare nella sessione di lavoro sul campo. Il tema centrale si rivela essere la necessità di alimentare un meccanismo di feedback positivo tra i giocatori della squadra, finalizzato a superare le interferenze interne al gruppo durante le partite. Prima di scendere in campo, come da tradizione, viene eseguita la preghiera, prima secondo il rito cattolico, poi quello musulmano. Tenendoci per mano condividiamo forse il momento più intenso della giornata, carico di un’energia particolare e difficile da descrivere. “E’ un gesto che ci carica molto in effetti” sorride commosso Luca e ha il suo effetto sui ragazzi che si allenano con intensità e continuità, sforzandosi di lavorare sul processo di riconoscimento reciproco che avevamo proposto loro.
Al momento dei saluti non possiamo che sentirci appagati da una giornata di incontri e di lavoro con dei ragazzi che portano con sè qualcosa di molto più importante del talento calcistico, ovvero una passione che nessuna delle sciagure che hanno dovuto vedere e vivere sulla loro pelle è riuscita ad intaccare. E osservandoli inseguire l’ennesimo pallone nell’oscurità che ormai avvolge il campo non si può non pensare alla celebre frase di Eduardo Galeano: “ Mostrare ad un bambino cos’è la felicità? Non glielo spiegherei, gli darei un pallone per farlo giocare”.
Riccardo Spadoni