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VINCERE LA SFIDA: LA FORZA DELLA MOTIVAZIONE

Dietro un grande successo sportivo sono presenti numerosi fattori che spaziano dalla qualità tecnica degli  atleti, allo spirito di squadra, fino alle condizioni ambientali e, non si può negarlo, alla fortuna. Alle origini del successo della nazionale argentina nel Mondiale di calcio del 1986, la squadra di colui che è riconosciuto come il più grande talento della storia moderna di questo sport, Diego Armando Maradona, vi è però soprattutto un gesto, un' unica decisiva azione. E il protagonista in questo caso non è il

pibe de Oro, la mano  de Dios, il genio ribelle del calcio, ma l'allenatore della seleccion Biliardo. Si, perché l'allenatore argentino, più volte oggetto di critica da parte di Diego nella sua biografia, ha il merito decisivo di dare origine al successo della spedizione messicana  prendendo la decisone più importante: affidare la fascia di capitano al giovane Maradona e toglierla al veterano e carismatico Passarella. Potrebbe sembrare un gesto scontato visto dalla prospettiva di oggi, ma nel 1983, all'epoca dei fatti, quando Biliardo si presentò a Lloret de Mar per comunicare la decisione al pibe, Maradona pur essendo un fuoriclasse affermato non è ancora un mito riconosciuto, non ha vinto niente di veramente importante, in Spagna non è del tutto apprezzato e in Nazionale è reduce dall'insuccesso clamoroso del recente  Mondiale. Passarella invece rappresenta la leggenda vivente del calcio argentino ed è il leader dell'unica epica vittoria mondiale della Seleccion nel mondiale disputato in patria nel 1978.

Con questo gesto Biliardo vince il mondiale perché offre al più grande  talento dello scenario calcistico la sfida e allo stesso tempo la responsabilità più grande, Biliardo vince il mondiale perché lo trasforma, con la consegna della fascia di capitano, nel mondiale di Maradona. Nel libro è lo stesso Diego a riconoscere la sacralità e la simbolicità del momento: " E subito Biliardo mi rivolse una frase che non dimenticherò mai, qualsiasi cosa succeda: "Sarai capitano!", così mi disse. Il cuore mi esplose, il cuore mi esplose! E se non sono morto d'infarto quel giorno, allora non succederà mai".  

Tutti siamo soliti pensare che per un campione, un grande artista, un uomo di scienza il raggiungimento del risultato agognato nasca da un desiderio e da una tensione che si genera dall'interno e che guida il talento nella realizzazione del proprio sogno. Non è così per Diego Armando Maradona, o quantomeno non basta a spiegarne la straordinaria e complessa personalità. Il pibe de oro ha sempre ottenuto i risultati più grandi quando la motivazione era data soprattutto da una situazione altamente sfidante, in grado di coinvolgere  in lui qualcosa di più dell'insieme delle sue mitologiche qualità calcistiche. E' così nel Mondiale del 1986, differentemente da quello del 1982 in cui risulta solo uno dei campioni della rosa, quando Diego diventando capitano deve farsi carico di gestire una squadra non eccelsa dal punto di vista tecnico e oggetto di scetticismo da parte della stampa nazionale, è nel 1984 con la scelta di andare a giocare a Napoli, una squadra di secondo piano nel campionato italiano in cui dominavano i grandi club nel nord. In quel contesto Maradona trova il senso e la forza nella missione di affrontare e sconfiggere le potenti squadre della parte ricca del paese: " era la battaglia del nord contro il sud, quella battaglia che mi fortificò e mi permise di fare quello che più mi piace: difendere una bandiera. E se  era la bandiera del più povero, meglio ancora". 

E rimane così per tutta la sua carriera: per Diego Armando Maradona è fondamentale avvertire che là fuori c'è un duello epico da affrontare, uno scontro titanico in cui l'avversario è un nemico, un nemico che appare a tutti più forte ma che lui, el pibe de oro, riesce a rendere battibile. E' questo stile di comportamento che rende Diego una leggenda mondiale che trascende lo scenario calcistico. E' questo stile che Diego utilizza per costruire la sua leadership all'interno del gruppo della nazionale argentina: " Mi piazzai al centro della stanza e cominciai ad arringarli : " Tanti aspettano che noi perdiamo. Sperano di vederci sconfitti per farci a pezzi più di quanto abbiano  già fatto.". E' questo stile la sua filosofia di vita, un dualismo nel quale l'altro, l'avversario è tendenzialmente potente e cattivo, sia  che appaia sotto le spoglie  dei " i ladroni in giacca e cravatta" e dei "nemici di sempre", sia che si manifesti nella figura dei prestigiosi esponenti della FIFA con cui si scontra per tutta la carriera,  sia che si materializzi nell'immagine della stampa nazionale o in quella di leader più formali e complementari al sistema come "il francesino senza sangue" Platini. Il segreto della motivazione di Maradona  sembra proprio scaturire dalla teoria degli opposti del filosofo greco Eraclito, per cui ogni cosa è quello che è perché si oppone alle altre e l'esistenza, l'unicità dell'essere, è data dalla guerra eterna con altri esseri.

E forse è proprio questo bisogno di eccitazione agonica alla radice della "depressione" che lo attraversa nel periodo del declino, quando Diego è costretto dagli scandali ai margini del grande calcio, lontano dalle sfide epiche e impossibili ai comuni mortali, quando non gli è più nemmeno concesso pensare che " il vero capitano, il grande capitano sono e sarò sempre io".

LAVORARE PER ESSERE IL MIGLIORE: LA FORZA DELL'AUTENTICITA'

Se la consegna della fascia di capitano accende l'emotività e il motore della motivazione del campione, ha anche  il potere di trasformare l' estroso ma vizioso e incostante  fuoriclasse in un meticoloso e stakanovista dedito solo alla causa. Maradona incomincia a raccogliere con la dovizia di un analista informazioni sulle caratteristiche  tecniche e psicologiche di tutti i suoi compagni, sfidando le difficoltà dei tempi (le partite del calcio sudamericano non andavano in onda in televisione!), si allena furiosamente, preparando personalmente il massacrante tour di  trasferte con la seleccion, sfruttando ogni momento possibile per riposare( "dormivo fino a cinque minuti prima della partita"), impegnandosi a tenere  vivo il legame con la squadra anche nei lunghi periodi di permanenza in Europa " cercavo di essere presente  il più possibile coi ragazzi: mandavo telegrammi prima di  ogni partita, saluti, rilasciavo dichiarazioni; volevo che sapessero che ero lì con loro...".

Soprattutto Diego sa che per essere riconosciuto  come leader in una squadra vincente deve esserlo prima di ogni cosa sul campo, deve essere il migliore sempre e comunque. Per questo motivo El pibe, unico campione tra i  tanti di quella competizione, nonostante il carico di lavoro e di fatica di giocare con due squadre, il Napoli e la Seleccion, va alla ricerca di uno specialista in grado di accompagnarlo in una preparazione individuale mirata all'impegno atletico che si sarebbe svolto in un ambiente proibitivo come quello dell'altopiano messicano. Il medico in questione si chiama Dal Monte ed ha curato anche la preparazione del ciclista  Moser, che  aveva stabilito il record dell'ora a Città del Messico nell''84;   con lui Diego si allena una volta alla settimana da tre mesi prima dell’inizio del Mondiali, arrivandovi in una forma strepitosa: " Mi sentivo forte, fortissimo...volavo! Arrivai che andavo come una freccia, ero al settimo cielo".

CREARE IL GRUPPO: LA FORZA DELL'EMPATIA

Leader e unico vero fuoriclasse in una squadra non eccelsa ( l'altro campione, P., colpito dalla colite, "la maledizione di Montezuma", non disputerà una partita), El Pibe sa che per il segreto per cogliere una grande vittoria sta tuttavia nella forza del gruppo, nello spirito che unisce i giocatori, in quella regola alchemica misteriosa che rende un gruppo unito qualcosa di molto più forte della somma del talento dei singoli . In questa importanza assoluta che Maradona attribuisce ai compagni sta, a suo modo di vedere, la differenza tra lui e il suo rivale di sempre nel podio più alto dell'Olimpo del calcio, Pelé: " lui deve sapere che a farlo grande sono stati i suoi compagni; non c'è stato nessun dirigente che gli abbia fatto un passaggio, che abbia reso grande Pelé". 

Il riconoscimento che il fuoriclasse argentino rivolge al ruolo degli altri giocatori della squadra è assoluto, tanto che una volta diventato capitano, all'interno dello spogliatoio, stabilisce una comunicazione volta all'ascolto e allo scambio aperto di informazioni con tutti e su tutto: "le riunioni le facevamo periodicamente, il gruppo ne aveva bisogno per rafforzarsi ulteriormente...ci vedevamo ogni dieci minuti, parlavamo di qualsiasi argomento" . Oggi diremmo che quello di Diego nell'86, era uno stile di leadership democratica o circolare, perché ogni decisione convergeva verso il punto centrale, il capitano, ma passava attraverso ogni giocatore della rosa. La capacità di empatizzare coi compagni permette anche al Pibe di scrollarsi di dosso  la fastidiosa competizione con Passarella, furioso per aver perso la fascia di capitano, che lo denigra in ogni modo  e rende noto ai compagni il vizio di Diego per la cocaina. Maradona contrattacca e vince la contesa mostrando ai compagni i tabulati telefonici in cui prova che il suo rivale effettuava chiamate in Europa a carico dei giocatori della squadra, che in quel calcio ormai lontanissimo dalla realtà attuale, giocavano quasi tutti in Argentina e guadagnavano pochissimo. Lo stesso Diego fa dono al giovane e inesperto sostituto di Passarella, Brown, di un Rolex di cui l' umile ragazzo si era innamorato vedendolo esposto nella vetrina di un free shop: " compralo, gli dissi" " non me lo posso permettere, Diego", mi rispose. Quando arrivammo in ritiro, andai in camerino e glielo regalai. Avevo la sensazione che quel ragazzo ci avrebbe dato una grossa mano per vincere il Mondiale".

Se Maradona ha cura di ogni compagno, fosse anche l'unica riserva, non tralascia di averne, nell'interesse del gruppo, anche nei confronti di un coach mai amato e spesso criticato, Biliardo. Quando nelle qualificazioni ai mondiali l'allenatore rischia di essere esonerato per  il cattivo gioco espresso dalla squadra, El Pibe non esita a schierarsi dalla sua parte, nell'obiettivo di cementare un team che ormai si era strutturato. " Se volete far fuori Biliardo, fate  conto che state facendo fuori me. Se lui se ne va, me vado anch'io" risponde a brutto muso agli emissari del presidente Alfonsin che, deluso dalla seleccion, preme per far cadere Biliardo. Se c'è qualcuno che può esonerare l'allenatore, quello è solo lui, Diego, l'unico vero grande capitano.

SOLO CONTRO TUTTI: LA FORZA DEL CORAGGIO 

Una delle caratteristiche che ha sempre reso Maradona un personaggio così caratteristico e riconoscibile è il suo approccio diretto e forte alle situazioni. El pibe de oro, aldilà di quanto possano essere discutibili certi suoi comportamenti, non è certo il tipo di uomo. che teme le prese di posizione radicali, anzi manifesta su tutto e tutti una visione ultra definita e accompagnata di sentimenti di amore od odio senza compromessi. E' così che si tratti di compagnai o avversari, allenatori o dirigenti. Ma è soprattutto la volontà di esporsi in prima persona nelle situazioni di difficoltà per il gruppo l' atteggiamento che più fortifica la leadership del neocapitano argentino. Ai Mondiali dell'86 Diego inaugura questa tendenza con dichiarazioni forti in cui si fa carico "senza se e senza ma" della responsabilità della vittoria: "quando mi chiedevano qual era il nostro obiettivo, rispondevo " Siamo qui per essere i campioni del mondo", e quando mi chiedevano qual era il mio obiettivo, rispondevo "essere il migliore al mondo". quando facevano la stessa domanda a Platini lui rispondeva " Non so, bisogna vedere la faccenda dell'altitudine". Quando facevano la stessa domanda a Zico, rispondeva" Non so, io ho dei problemi alle ginocchia e la squadra deve essere forte". El pibe de oro, con la sua sicurezza sfrontata e la sua assertività stabilisce fin da subito un paradigma di modellamento per tutti i compagni. Lo farà anche quando  sarà il momento di fare pressioni su Biliardo per interrompere le inutili amichevoli pre-torneo disputate all'altezza del mare. L'ennesima sfida vinta contro il suo stesso allenatore consacra la sua credibilità e cementa il legame tra i componenti della squadra: "Fu il momento delle rottura. Compattò tutto il gruppo e lo rese più forte. Lì fu definitivamente chiaro che eravamo noi da soli contro tutti, per cui conveniva remare tutti dalla stessa parte". Durante il mondiale Maradona arriva al punto di affrontare e attaccare duramente il dirigente FIFA Avelange, per protestare degli orari infausti delle partite dell' Argentina (12 ora locale) " col cavolo che sarei stato zitto...gli dissi che che non poteva comportarsi come una dittatore", e addirittura giunge a minacciare il boicottaggio delle partite. Del resto la lotta titanica coi potenti del calcio è qualcosa che stimola el pibe de oro quasi più dei dribbling ai danni dei terribili difensori che lo massacrano sui campi. Una lotta in cui lui ci tiene ad esporsi apertamente, come quando annuncia alla stampa italiana la sua intenzione di infrangere le regole della Federazione e volare in argentina per el partite di qualificazione " io parto lo stesso, anche se la Federazione e il club non lo vogliono". Solo contro tutti, ribelle contro il sistema, disobbediente alle regole quando ingiuste, quello che per la maggior parte dei giocatori apparrebbe una pazzia controproducente, per Diego rappresenta invece una sfida eccitante, ma soprattutto "significa essere il capitano della Nazionale argentina"

COGLIERE L'ATTIMO: LA FORZA DEI SIMBOLI

Ci sono campioni che hanno segnato e vinto più di Maradona, ci sono state carriere più ricche di trofei e riconoscimenti. Da Pelé a Messi, passando per Van Basten e Cristiano Ronaldo, tanti atleti hanno ottenuto di più nel calcio di Diego Armando Maradona. Ma nessuno di loro ha fatto e farà più parlare, discutere, dividere e affascinare più del pibe de oro. Perchè non si diventa un mito grazie alla quantità di gesta vincenti realizzate. Si diventa un mito quando poche ma potenti azioni compiute acquisiscono un significato simbolico universale. Così Cristoforo Colombo non verrà ricordato per tutti i suoi viaggi, ma per aver sfidato l'ignoto nella scoperta del nuovo Continente, Galileo Galilei per aver affrontato l'oscurantismo dei suoi tempi, Ghandi per aver utilizzato la pace  come strumento di lotta, Socrate per aver individuato nella consapevolezza della propria ignoranza il segreto della saggezza. Poco importa se per queste grandi scoperte, questi grandi uomini non ottennero grandi premi in vita, anzi vennero perseguitati. In loro le generazioni future hanno trovato modelli di pensiero e di comportamento a cui ispirarsi.

C'è anche in Diego Armando Maradona la capacità di trovare nello sport in cui eccelse più di tutti i momenti simbolici, gli attimi cruciali,  nei quali far confluire tutte le risorse del suo straordinario talento. Il fuoriclasse sa argentino sa che vincere quel mondiale da capitano vale più di ogni successo e ne legge e  interpreta puntualmente tutte le fasi salienti, dalle partite di qualificazioni,  dalle prime amichevoli fino agli incontri decisivi " Appena arrivato, venni a sapere che la Seleccion aveva perso un'altra amichevole, contro il Brasile a Rio, mentre io ero in volo. Erano tutti segnali che dovevo scendere in campo, che dovevo farmi carico della squadra".

Ma il meglio, i colpi più spettacoli, i gesti dal più alto potere simbolico Diego li riserva per una sola partita. E quella partita non è la finale. Si, perché il mach più importante e sentito è quello che si disputa nei quarti di finale contro l'Inghilterra. Nessun avversario può infatti rappresentare per l'uomo delle sfide uno stimolo contro la nazione che aveva sconfitto l'Argentina in uno scontro molto più importante, quello della guerra delle Malvine. Maradona non porta rancore "sebbene gli inglesi fossero colpevoli, gli argentini lo erano allo stesso modo", ma sa che quella partita rappresenta per il suo popolo e per la sua leggenda personale qualcosa di unico " Adesso possono venire i Messi, i Riquelme, i Tevez a fare dieci goal ciascuno. Ma quel giorno noi giocavamo una partita con l'Inghilterra dopo una guerra  il cui ricordo era ancora fresco..."

Ed è proprio in quel match dei quarti di finale che si materializza la mano de Dios, l'unico goal irregolare per cui nessun compagno, tifoso, spettatore avrebbe potuto veramente criticarlo. Ma soprattutto è in quel match che Diego disegna la più  sublime pennellata  del suo illimitato talento artistico, la cavalcata inarrestabile del secondo goal. E' proprio in quel match che Maradona diviene mito, perché quelle due reti valgono per la storia più dei mille realizzazioni di Pelè e dei cinque palloni d'oro di Messi. Grazie a quel match il fuoriclasse argentino fa dimenticare anche agli occhi delle generazioni future tutti gli errori, gli scandali, le bravate e la responsabilità di aver sprecato almeno una parte di quel dono immenso ricevuto dal Dio del calcio. In quel match l'unico vero capitano ci ricorda che "la pelota non se mancha", il pallone non si sporca, perché scorre via oltre il fango del  denaro e dei compromessi verso l'emozione  incontenibile di un'altra rete, come in quel pomeriggio del 22 giugno 1986 tra i piedi del pibe de oro, Diego Armando Maradona.

Riccardo Spadoni

 

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