Il primo vero valore di una sconfitta scolastica sta nel fatto che essa ci rivela una problematica nel rapporto tra il ragazzo e il mondo dello studio che rischieremmo di ignorare. Una bocciatura viene spesso motivata da parte degli inseganti con lapidarie sentenze molto note del tipo “non ha mai studiato”. Lo stesso insuccesso viene però interpretato dai genitori del ragazzo con espressioni dal sapore giustificativo, quali “ gli insegnanti non lo capiscono”, “ non lo hanno fatto recuperare”. Già ma perché il ragazzo non ha studiato?
Cosa ha fatto in modo che gli insegnanti non lo capissero? Nella mia esperienza di insegnamento mi sono reso conto che solo raramente un insuccesso scolastico ha alle basi dei reali problemi di apprendimento. Nella maggior parte dei casi l’origine del problema sta nella relazione tra il ragazzo e il mondo della scuola, che non è fatto solo di nozioni da apprendere ma soprattutto dal senso che hanno per lui, dalla relazione efficace con l’adulto al livello di coinvolgimento dell’apprendimento. Soprattutto dal fatto che, contrariamente a quanto si pensa, non tutti gli studenti sono spinti da una motivazione interna allo studio ma hanno la necessità di trovare da intensi stimoli esterni per attivarsi: come sostengono gli psicologi Deci e Ryan, se ad esempio ad un livello di abilità medio corrisponde un livello di sfida basso, lo stato emotivo generato è la noia. Chi di noi non conosce questo stato d’animo? Il valore del fallimento scolastico ha un significato allora se il ragazzo e la famiglia si confrontano in modo aperto e sincero con la reale ragione che ne stanno alla base. I ragazzi sono bravissimi, quando liberi da condizionamenti e pressioni, a fare questo, le famiglie dovrebbero solo seguirli nell’esempio.
Oggi infatti, a mio modo di vedere, c’è una problema più grave rispetto alla difficoltà di confronto con l’insuccesso scolastico, che è l’evitamento dell’insuccesso scolastico. Per quanto possa sembrare strano e paradossale all’interno della scuola spesso esiste un timore nel fermare uno studente, vuoi per via del proliferare delle certificazioni di disabilità, anche lievissima, vuoi per il conflitto che una bocciatura potrebbe generare con la famiglia. Si tratta però soprattutto di un processo culturale che spinge le figure educative a sottrarre l’adolescente a qualsiasi forma di trauma o sofferenza, nel timore di un suo crollo emotivo. Oggi abbiamo paura del dolore, un dolore che noi non vogliamo provare e che di conseguenza vogliamo evitare ai nostri ragazzi. Così dimentichiamo che, eliminando l’esperienza traumatica del fallimento, togliamo anche il gusto intenso del successo, che è fatto anche di fatica e di sana sofferenza. Così priviamo anche i nostri ragazzi di quel confronto intimo e meditativo con se stessi che passa anche attraverso un pianto consumato nella solitudine della stanza e che ha un valore di crescita fortissimo. In una società in cui il successo coincide con l’appagamento immediato di qualsiasi desiderio, il valore di un fallimento scolastico è straordinariamente formativo per la costruzione di realizzazioni autentiche e durature.
Riccardo Spadoni