In questi giorni alcuni articoli e commenti relativi al mondo del football italiano mi hanno portato a ripensare alle mie esperienze sul campo da football, alle mie modeste corse verso il touchdown e all’educazione che ho ricevuto grazie a questo sport. Ricordo e sento dentro di me ancora le voci di alcuni allenatori a me cari come il coach Luciano Fiore, Argeo Tisma, Ed Munger, Bruno Waldner, Jerry Douglas. Rigorosi e inflessibili, per me allora anche saggi sono stati tutti degli ottimi insegnanti. Anche se la lezione era football, le nozioni che ho ricevuto andavano oltre alla tecnica o alla tattica del gioco.
Allora ero poco più che ventenne e non mi potevo aspettare che da ragazzino con casco e spalliera potessi rendermi conto sul momento del valore che queste lezioni potevano avere per la vita. Nell’età adulta ho preso coscienza di questo e l’ho trasformato in un progetto professionale. Il football, come tutti gli sport, deve essere una delle esperienze formative nella vita di una persona. Qualunque sport deve agevolare e non ostacolare il percorso di crescita di una persona. I percorso agonistici o professionistici generano alle volte un contesto che assomiglia ad una sorta di ascesa all’Olimpo con tutti i diritti e i privilegi che questo comporta, ma che mai troverà una ricaduta poi nella vita post sportiva dell’atleta.
Quando questo accade e da adulti non se ne prende consapevolezza, lo sport si trasforma da una esperienza potenzialmente importante in un costante desiderio da parte di un ex sportivo di rivivere le glorie del passato, non comprendendo il presente e ottenendo da questo solo una continua sconfitta come un sentimentale mai cresciuto.