Ho descritto nell’articolo “La nascita dei Giochi Olimpici” come la finalità dei Giochi Olimpici nel 700 a.c. fossero un dono e un riconoscimento a Zeus. Attraverso il gesto sportivo veniva celebrato il dono della forza fisica e mentale che gli dei avevano donato all’essere umano. Al tempo i Giochi Olimpici avevano una durata di cinque giorni di cui due dedicati alle celebrazioni religiose, due ai giochi atletici e l’ultimo giorno all’apoteosi che era la cerimonia dio divinizzazione. Nell’ultimo giorno tutti gli atleti erano premiati con un ramoscello di ulivo cresciuto nel tempio dedicato a Zeus.

Il primo evento critico di cambiamento della cultura dei Giochi Olimpici e quindi dello sport lo crea Sparta con i suoi atleti soldati. Lo scopo delle attività sportive per Sparta erano due:

  • 1. quello di mantenere in allenamento il fisico dei soldati attraverso esercizi;
  • 2. allenarne la mente guerriera attraverso l’esasperazione della competizione.

Per la prima volta nelle storia dei Giochi Olimpici due culture differenti si uniscono sotto un unico evento. Lo sport come cura di sé e lo sport come allenamento dei soldati in tempi di pace creano una nuova cultura sportiva. A questo evento si sussegue la necessità di creare atleti agonisti che gareggiassero per un premio finale. I Giochi Olimpici assunsero così:

  • a) aspetti professionistici;
  • b) atleti che gareggiano per mirare alla vittoria finale e per i vantaggi economici che ne derivano;
  • c) i Giochi Olimpici diventano un polo di attrazione per atleti che provengono anche da Oriente.

Questi elementi dei Giochi Olimpici saranno per molti anni le caratteristiche delle attività sportive su cui si svilupparono centinaia di anni più tardi le Olimpiadi dei tempi moderni. Sarà proprio con la prima olimpiade in Grecia nel 1896 che si avvia un processo di sviluppo delle attività sportive come si può notare dai seguenti numeri:

1896 Olimpiadi di Atene 11 paesi – 43 specialità – 241 atleti – 80.000 spettatori – 5 impianti sportivi

2012 Olimpiadi di Londra 205 paesi – 302 specialità – 11.000 atleti – 8 milioni spettatori – 33 impianti sportivi

Schema elementare ma esplicativo sui passaggi nei secoli dello sviluppo dello sport e della sua cultura:

  • 700 a.c. lo sport come cura di sé
  • 500 a.c. lo sport per allenare la mente e il fisico dei soldati in tempi di pace
  • primi atleti professionisti
  • la vittoria finale incomincia a portare vantaggi economici agli atleti
  • ai Giochi Olimpici provengono atleti anche da Oriente
  • 1900la politica nello sport
  • 1950 lo sport come fenomeno di massa
  • lo sport come valore sociale
  • lo sport come fenomeno di business

Alla luce di quanto esposto, abbiamo cercato di capire quali siano stati gli eventi che dal 1900 in poi hanno caratterizzato lo sviluppo delle attività sportive, che hanno inciso nella cultura dello sport e dello sportivo.

Questi elementi culturali dello sviluppo dello sport, hanno caratterizzato i primi del ‘900 e sono rimasti intatti nel tempo fino a raggiungere i giorni nostri. Attraverso questi paradigmi lo sport è diventato un fenomeno di massa, un valore sociale e un business economico che ha visto coinvolte negli ultimi 20 anni le più grandi multinazionali mondiali. I paradigmi della cultura dello sport moderno coinvolgono in maniera trasversale gli allenatori, gli atleti, i genitori, gli spettatori e la scuola.

La storia dello sport nei primi del ‘900.
Un periodo molto importante per lo sviluppo dello sport e della sua cultura lo ha avuto il fascismo e la sua propaganda in Italia. L’intuizione del Duce e le teorie di Lando Ferretti (primo presidente del Coni nel periodo fascista) erano tese ad esaltare nell’atleta “l’uomo nuovo”, l’italiano forgiato dal regime ad essere “tenace, cavalleresco e ardimentoso” nel corpo e nello spirito, pronto a combattere per difendere “l’onore e il prestigio sportivo della Nazione”. Il progetto doveva portare alla diffusione della cultura sportiva tra gli italiani e l’organizzazione di una libera struttura associazionistica in cui praticare “lo sport per tutti”. Questo progetto che di per se sembrerebbe valido e utile nella sua idea nascondeva un difetto che lo ha portato a fallire clamorosamente, un difetto nell’ideologia antidemocratica, non vi era la possibilità di scegliere ma era imposto dall’alto. L’obbligatorietà rendeva lo sport un metodo di depersonalizzazione e standardizzazione, elitaria per l’individuazione e l’emulazione dell’eroe sportivo e autoritaria per leadership che ha caratterizzato il periodo fascista e la cultura sociale fino ai giorni nostri.

L’enfasi competitiva e nazionalistica era utilizzata per veicolare un’immagine dinamica e aggressiva del popolo italiano e come chiave per entrare nei cuori delle masse la ricerca dei miti e degli eroi sportivi.

Il potenziale espresso dal progetto “lo sport per tutti” fu senz’altro di aver favorito la nascita della pratica sportiva di massa e alla nascita della moderna organizzazione sportiva.

L’uso fascista dello sport.
Lo sport fascista si basa su quattro livelli di evoluzione:

  • 1. La diffusione dell’attività motoria promossa dalle istituzioni collaterali del fascismo. Una pratica di massa le cui caratteristiche erano:
    • La salvaguardia della salute fisica del popolo;
    • Il miglioramento delle capacità produttive;
    • La preparazione del “cittadino-soldato”;
    • Il controllo del tempo libero;
    • La socializzazione dei giovani;
    • La predisposizione di meccanismi per la scelta dei migliori.
  • 2. La pratica sportiva dilettantistica.
  • 3. La pratica sportiva semiprofessionistica.
  • 4. Lo sport come spettacolo.

L’uomo nuovo per il fascismo.
L’educazione sportiva fascista non badò soltanto al “miglioramento qualitativo della razza attraverso i giovani” ma si adoperò pure per il mantenimento in esercizio degli adulti. Attraverso l’integrazione tra l’educazione sportiva (le associazioni sportive) e l’educazione culturale (la scuola) ha inserito nella cultura delle persone l’abitudine alla lotta, allo spirito di sacrificio, alla disciplina, al fascismo come ideologia, individuando il buon cittadino che sarebbe stato un uomo sano, “l’italiano nuovo”.

L’ideologia sportiva fascista si indirizzò verso la massa e non verso l’atleta cercando nella massa l’atleta eroe come esempio per le masse (il concetto attuale di squadra agonistica utilizzata come esempio e sprono per gli sportivi). I giovani atleti dovevano avere una meta e venivano premiati coloro che per primi raggiungevano quella meta. Questo processo avrebbe dovuto fare emergere dalla massa gli eroi. Il campione, l’eroe diventa indispensabile non soltanto come fatto agonistico ma anche sociale. Il campione si poneva al di sopra della massa, otteneva un proprio status sociale e diventava oggetto di venerazione piuttosto che di stimolo all’emulazione.

Il temperamento virile e il mito dell’eroe diventava un modello superiore e irraggiungibile allontanando di fatto al concetto di sport per tutti.

La politica e lo sport.
Lo sport è servito al periodo fascista, ma anche in altri regimi (faremo poi dei riferimenti agli Stati Uniti sul come hanno utilizzato lo sport come propaganda politica), come propaganda dell’ideologia. Lo sport moderno in ogni angolo del mondo è stato sfruttato politicamente. In tutte le occasioni in cui la politica ha utilizzato lo sport come propaganda ha agganciato l’immagine del potere a quella vincente del campione. Un esempio lo abbiamo avuto in Brasile in questi ultimi mondiali, dove le pressioni rivolte alla squadra di casa sono state così forti che i giocatori del Brasile non hanno retto alla pressione. Scolari ha ripetuto ai suoi giocatori dal primo giorno del ritiro del mondiale che “questa per loro sarebbe una grande occasione, restare nella storia del calcio per aver vinto un mondiale a casa propria. Un’occasione come questa non sarebbe capitata più a nessuno di loro”. Questa pressione data da un obiettivo totalmente fuori dal loro controllo, non poteva nascere da un pensiero di un allenatore esperto come Scolari, ma molto probabilmente dalle pressioni politiche che egli stesso ha ricevuto.

Torniamo al periodo fascista in cui lo sviluppo dello sport avvenne senza che si facesse cultura sportiva, il trionfo del fascismo formò la nuova concezione sportiva. Il fascismo avviò sin dall’inizio un opera di potenziamento dello sport di massa facendo fronte a una domanda sociale che si andava ampliando. In quegli anni di sviluppo dello sport, il caos teneva banco. Le iniziative sportive centrali avevano dato il via ad un movimento che da movimento d’élite, andava trasformandosi in movimento di massa, registrando una larga diffusione della pratica professionistica. I primi indicatori di questo sviluppo furono i primi casi di corruzione segno che nuovi interessi stavano entrando in gioco. Lo sport competitivo si trasforma in professionismo, scommesse e nella ricerca ed esaltazione del campionissimo.

In questo caos il fascismo si adoperò per una continua opera di sollecitazione alla periferia, costruendo impianti e sostenendo iniziative di propaganda e di diffusione.

La nascita del CONI.
Il potere fascista attraverso Lando Ferretti tentò di mettere in pratica le sue teorie istituendo una infrastruttura sportiva rivoluzionaria, attraverso la quale si sarebbe fascistizzato il mondo dello sport. L’evoluzione sportiva del Coni fu quella di passare da apparato mal organizzato e poco rappresentativo in Italia ad apparato politico.

Attraverso il Coni, Ferretti voleva far penetrare la pratica sportiva nel cuore, nella coscienza e nello spirito di ogni italiano. Per lui lo sport non era un semplice gesto agonistico, ma assumeva valori politici, per cui era convinto che attraverso la pratica sportiva tutti gli italiani sarebbero diventati atleti e fascisti. Per Ferretti il Coni aveva il compito di supervisionare le manifestazioni sportive e di far nascere e sviluppare la “Nazione sportiva” e di selezionare dalla massa degli eroi sportivi, i famosi eletti.

Il Coni diventava così il punto di partenza di due piramidi:

  • 1. la formazione di una coscienza agonistico-sportiva di massa (lo sport per tutti);
  • 2. la concezione dello sport ad altissimo livello la cui funzione era di individuare i campioni che sarebbero emersi come eroi.

Con il Coni tutto l’universo agonistico sportivo era di fatto sotto il controllo del regime.

La psicologia e la medicina nello sport.
Nel passaggio di consegne dalla conduzione del Coni di Ferretti a Turati, Ferretti presenta per la prima volta l’importanza di allenare sia il fisico ma anche la psicologia degli atleti e per questo nuovo obiettivo fu designato come presidente proprio Augusto Turati. Dice Ferretti in una intervista dell’epoca: “Turati è un autorevole gerarca che potrà far cambiare molti cervelli”. Nel 1930, con Turati, la federazione dei medici sportivi entrò ufficialmente a far parte del Coni. Coinvolse così ufficialmente la scienza a dare il suo contributo nello sport.

Lo sport e il machismo.
Turati lavora sull’aspetto psicologico degli atleti invitando gli atleti negli incontri sportivi a sostituire le ormai vecchie forme di cortesia, i baci e gli abbracci, con altre manifestazioni “più maschie e più fasciste”. L’educatore sportivo aveva i seguenti temi su cui lavorare sul fisico e sulla mente degli atleti:

  • far eseguire con comandi movimenti di giovamento fisico
  • fornire una educazione virile
  • fornire una educazione marziale
  • imporre agli atleti uno sforzo e una lotta per superare se stessi e gli altri.

Il giovane che entrava per la prima volta in una palestra compieva, in quegli anni, uno degli atti più importanti della sua vita. Si avvicinava alla “fucina del coraggio e del carattere”, dichiarando di voler diventare uomo nel significato latino del termine. “Egli abbandona la tunica del giovinetto e assume, solennemente, la toga virile”. L’organismo femminine invece non poteva essere assimilato a quello dell’uomo. La pratica sportiva delle ragazze veniva impartita con moderazione e con attenzione ai caratteri estetici e morali della donna. I caratteri che più si confacevano alla donna, moglie e madre, erano quelli della grazie e dell’eleganza. I miti femminili erano all’epoca le attrici del cinema.

La scuola e lo sport.
La scuola durante il regime fascista ha assunto il ruolo di “palestra” per la formazione del cittadino italiano e la pedagogia scolastica non poteva dimenticarsi dell’educazione fisica che doveva preparare e tenere pronto il cittadino per i bisogni della patria. La missione di impartire l’educazione ginnica nelle scuole avvenne attraverso un coordinamento dell’orario per lo studio e per l’educazione fisica, così che queste due attività (studio e sport) non si intralciassero reciprocamente. Una conciliazione tra cultura e sport in un ottica di esibire le grandi masse di fanciulli e adolescenti che attraverso lo spettacolo sportivo avrebbero messo in evidenza gli scopi dell’educazione fascista.

Nascono in quegli anni i primi campeggi e colonie estive sportive.

Nasce così anche la necessità di formare gli educatori di ginnastica capaci di vigilare su ogni aspetto della gioventù, preparati intellettualmente e tecnicamente. L’educatore sportivo formato e preparato dal regime, doveva porre ai giovani una meta, allinearli (lavorava sulla massa e non con l’individuo) e premiare colui che per primo raggiungeva quella meta. Questo processo avrebbe dovuto fare emergere dalla massa gli eroi, una naturale selezione di campioni, che potessero diventare da esempio della razza italiana nel mondo.

La nascita delle Federazioni Sportive.
Per creare strutture di divulgazione del progetto “lo sport per tutti” e in contemporanea impedire ogni possibilità di sviluppo incontrollato ed alternativo delle attività sportive, si assiste alla nascita delle federazioni sportive. Al loro interno regnava l’ideologia fascista che esaltava la competitività ed il rendimento. Il fascismo si servì dell’associazionismo liberale per farne un elemento indispensabile per la formazione dell’”uomo nuovo”.

La stampa sportiva.
La Gazzetta dello sport, il giornale sportivo per antonomasia nella storia della stampa italiana, vide la luce nel 1896, grazie alla fusione de “Il Ciclista” e de “La Tripletta”. Questo strumento fu utilizzato per celebrare quegli eroi così importanti per il regime. Per la prima volta un quotidiano riesce a raggiungere allo stesso modo trasmettendo un messaggio univoco indistintamente tutti gli strati sociali. Il fascismo questo lo capì per tempo e lo utilizzò per trasmettere la sua ideologia.

Il paradigma dello sportivo fascista.
Il giovane sportivo attraverso il progetto “lo sport per tutti”, avrebbe potuto essere l’eletto dal punto di vista sportivo, mediante una pratica agonistica assidua (concetto di allenamento non intenzionale, erano costretti a praticare lo sport) ed una fede incondizionata verso i maestri e verso i primati richiesti dal fascismo (la relazione competente non è contemplata come competenza). “Solo con il sacrificio si compiono le grandi cose”.

L’educazione militare nello sport assunse così caratteri di spiccata aggressività e di insegnamento all’odio. Da un’idea “Nazionale sportiva” come insieme di cittadini educati allo sport, si è passati in quegli anni a una “Nazione guerriera” e la nazione celebra le vittorie dell’eroe.

Conclusioni.
I paradigmi culturali nello sport nati nei primi anni del ‘900 hanno avuto una ricaduta sul sistema sociale nel suo insieme (aziende, scuole, famiglie, sport).

Le conseguenze di questi paradigmi negli atleti, nelle famiglie e negli allenatori e in generale nella vita delle persone con cui noi coach ci confrontiamo e lavoriamo sono i seguenti:

  • la cultura della competitività ha generato e genera frustrazione nelle persone;
  • il concetto di dedizione e di sacrifico imposto ha prodotto una accettazione. La propria passione si può vivere solo nei ritagli di tempo o in un solo giorno della settimana. Gli altri giorni della settimana servono per produrre in contesti che le persone tendenzialmente non scelgono e in cui si svolgono attività lontane dalla passioni delle persone;
  • il mito dell’eroe ha portato allo sfruttamento e all’umiliazione. Umiliazione e sfruttamento avviene all’interno di una piramide sociale in cui l’eroe è il leader del contesto;
  • la leadership autoritaria era l’unica forma di leadership funzionale in una attività sportiva imposta, il cui leader assumeva un ruolo superiore e irraggiungibile.

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