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È ormai da qualche mese che ho iniziato a giocare a tennis. Ecco, giocare, a scriverlo mi sembra un parolone, in realtà sto imparando a impugnare la racchetta e a mandare la pallina dall’altra parte del campo. A volte mi viene bene altre no. Diciamo che mi applico e qualcosa sto imparando. Probabilmente per deformazione personale (infatti non riesco a vedere le cose solo per quello che sono) ho scoperto in questi ultimi mesi di sudore e di uso di muscoli che non sapevo neppure di avere, che il tennis è una metafora straordinaria di una competenza tipicamente umana: la comunicazione interpersonale.

Sembrerà strano ma più capisco questo sport e più scopro che anni di studi inerenti alla comunicazione possono trovare la loro sintesi in un semplice set. L’illuminazione non è venuta da sola, è passata attraverso le lezioni di tennis che ho preso e che tutt’ora sto seguendo. Vi racconto in breve i passi più salienti di questa mia esperienza.

Michele, il mio maestro mi dice: “cominciamo a giocare e vediamo come ti muovi, cosa fai spontaneamente e che cosa va corretto”.

Ecco la prima lezione di comunicazione: tu spontaneamente già comunichi. Alcune cose le fai bene altre probabilmente vanno corrette. Resta il fatto che non sei una tabula rasa. Imparare a comunicare in modo efficace dovrebbe partire da qui, da incominciare a vedere qual è il tuo stile naturale di interagire con gli altri. Già, perché non esiste uno stile standard di entrare in contatto con le persone.

“Ok Cristiano ho visto il tuo stile… diciamo che c’è qualcosina da correggere. Provo a spiegarti: innanzitutto tu hai una palla e la devi mandare di là. Puoi tirarla lunga, corta, diagonale, come vuoi ma deve arrivare nel campo del tuo avversario”.

Ecco la seconda lezione di comunicazione: la palla è il messaggio. Per giocare serve uno che la tiri e uno che la riceva. Tecnicamente, nelle teorie della comunicazione, si parla di emittente e ricevente. Se palleggi da solo, contro un muro, non stai giocando davvero ti stai allenando. Il gioco prevede un avversario, come la comunicazione necessita di un interlocutore. Se non c’è “l’altro” è un soliloquio.

Altro elemento fondamentale è che nella comunicazione il messaggio deve arrivare nel CAMPO percettivo del tuo interlocutore. Se il messaggio non entra nel suo campo hai sbagliato e rischi:

  • di parlare per te stesso (nel tennis potrebbe essere una palla che non passa la rete)
  • di perdere l’attenzione e l’interesse del tuo interlocutore (un po’ come quando fai un tiro troppo lungo che esce dal campo del tuo avversario).

Poi Michele mi fa: Cristiano, comunque, la palla si tira dall’altra parte con l’intenzione di fare punto eh!

Anche nella comunicazione c’è un momento in cui facciamo punto e non è, come molti pensano, quando abbiamo ragione. Nella comunicazione vinciamo quando il messaggio arriva ed è compreso per quello che è dal nostro interlocutore.

Purtroppo, a differenza del tennis dove vediamo fisicamente se la palla passa la rete, quando comunichiamo ci convinciamo, a volte, di essere arrivati all’interlocutore per il solo fatto di aver lanciato il nostro messaggio. Siamo persuasi  che aver detto quello che dovevamo dire, comporti l’essere arrivati nel campo percettivo del nostro interlocutore. Come a dire che se io ho detto una cosa è inevitabile che l’altro l’abbia ascoltata e capita. Purtroppo non è cosi. Non basta lanciare il messaggio, dobbiamo anche aver cura di comprendere dove esso cade.

Ecco che per comunicare bene diviene importante conoscere il “campo” percettivo del nostro interlocutore, ovvero il modo con cui lui legge e interpreta la realtà.

Ma torniamo alle mie lezioni di tennis. Michele, già nei primi incontri, pazientemente mi spiega alcune regole del gioco e le posizioni corrette di dritto e rovescio sulle quali poi insistentemente mi allena. Un giorno, poi, mi presenta Davide, il mio primo avversario. Giocando delle brevissime partite con lui scopro che, nonostante l’impegno a tirare in modo corretto con l’intento di fare punto, i colpi mi tornano in dietro. Scopro anche che più scambio con l’avversario e più mi diverto. So che l’obiettivo della partita è fare in modo che Davide non riesca a rispondere ai miei colpi, ma da principiante sento un piacevole senso di soddisfazione nel mantenere in gioco le palle, anche quelle impossibili. A volte i tiri escono bene altre no, ma se passano la rete sono comunque ancora in gioco.

Nella comunicazione avviene più o meno lo stesso. Puoi conoscere a memoria tutta la teoria, ma quando ti trovi a comunicare nella realtà devi fare i conti con l’imprevisto. Lì, che tu lo voglia o no, a volte escono delle risposte tirate un po’ a occhio. Ecco con il tempo ho capito che questo non è così grave come inizialmente pensavo. L’aspetto centrale nella comunicazione è rimanere in gioco, far sì che non si interrompa il flusso comunicativo. Resta comunque che se poi sistematicamente comunichi a bestia qualche domanda te la devi fare.

Un altro aspetto dei processi comunicativi che ho ritrovato nel tennis è questo:

Quando da emittente invii un messaggio devi prepararti perché quando questo arriva al ricevente le parti si invertiranno: lui diventerà emittente e tu a tua volta sarai il ricevente. La comunicazione è determinata da questo continuo cambio di stato.

Il messaggio di ritorno si chiama feedback e contiene molte informazioni del tuo interlocutore. Attraverso questa risposta puoi comprendere se “l’avversario” ha gradito o meno il messaggio (la palla) che gli hai inviato. Puoi comprendere dove gli piace stare in una conversazione e dove no (in verità nel tennis anche quanto ama o meno alcune aree del campo) e puoi regolare la tua contro-risposta di conseguenza. Quando questo accade ci si sintonizza sull’altro e si innesca un flusso comunicativo.

Davide gioca bene, di sicuro molto meglio di me. I suoi tiri sono energici e diretti. Spesso sfiorano il filo della rete e cadono tagliati. Ha un gioco molto attivo e sfidante. Ho scoperto però (sembrerà banale ma non lo è) che esistono stili diversi di gioco.

Mi spiego meglio: ho visto giocatori molto focalizzati sulla qualità e bellezza del gesto tennistico. I loro servizi sono morbidi e belli da vedere. Sembrano ballerini in campo. I loro tiri, anche i più imprendibili sembrano un invito allo scambio. 

Ho visto persone, poi, che giocano molto avanzate e amano le sfide. Ho avuto l’impressione che preferissero il gioco rapido e che si irritassero ogni qual volta lo scambio diveniva una routine.

Nel contempo ho visto persone che amano il gioco da fondocampo. Ho compreso che questo permette loro una visione d’insieme del terreno di gioco, offrendogli l’opportunità di “controllare” ciò che accade.

Ho visto, infine, persone tecnicamente preparatissime, che quando giocano hanno gli occhi che luccicano e sorridono. Li ho visti però annoiarsi in una partita con un avversario meno bravo di loro e perdere clamorosamente zolpidem 5mg .

Guardando le persone giocare ho avuto l’impressione che stili differenti di gioco avessero qualcosa a che fare non solo con il modo di essere in campo ma anche, più in generale, con lo stile con cui  quelle stesse persone affrontano la vita. Se questo è vero (ma è solo un’ipotesi) ognuno di questi modi di essere corrisponde un certo stile comunicativo preferito.

Anche nella comunicazione, infatti, esistono stili differenti. Non ve n’è uno giusto e uno sbagliato. Ogni persona ha il suo. Il problema sta nel fatto che spesso si tende a imporre acriticamente il proprio con la convinzione che esista solo quello.

Non è così! Anzi, esistono linguaggi comunicativi differenti e imparare a parlarli ci permette di riuscire a portare a segno il nostro messaggio.

Ecco, vedi che avevano ragione i miei quando dicevano che nella vita bisogna conoscere almeno due lingue!

Cristiano Pravadelli

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